Le gole del Garrafo

A due passi da casa una forra dove i raggi del sole non entrano.
Dalla cascata della Volpara si forma un corso d'acqua che nel suo breve percorso cambia tre volte nome, il Rio Volpara nella parte alta diventa il fosso della montagna prima di Umito e poi Rio Garrafo da Pozza fino alla confluenza col fiume Tronto. E' in questo ultimo tratto che si fa forra stupenda e regala un percorso entusiasmante però proibito durante i periodi di piena.


L’escursione alle gole del Garrafo, fatta nel periodo agostano è tanto gratificante quanto facile; una gita fuori porta o quasi, poco meno di 3 chilometri è lo sviluppo e solo 100 sono i metri di dislivello, aumentano poi se si allunga verso Umito o Vallecchia come abbiamo cercato di fare oggi; le insidie si nascondono un po’ ovunque visto l’ambiente di forra con frequenti salti e le rocce levigate e scoscese che a tratti offrono pochi appigli ma se presa con leggerezza rimane una bella passeggiata. E’ escursione diversa se presa in altri periodi di piena e addirittura impossibile da percorrere a piedi nei periodi di scongelamento delle nevi in cui il livello dell’acqua sale di molto insieme alla corrente che diventa vorticosa e impetuosa. Il Garrafo non è altro che l’ultimo tratto del Rio della Volpara, che strada facendo, prima e dopo Umito, prende il nome di Rio della Montagna, e che solo dopo Pozza e fino a confluire nel Tronto diventa Rio Garrafo; dell’intero corso d’acqua è il tratto più incassato, ha scavato un’autentica forra tra le docili arenarie della Laga e ha levigato abilmente le stratificazioni calcaree di queste montagne, regala ambienti davvero molto suggestivi. Siamo al confine della Laga sul territorio Acquasantano, in provincia di Ascoli Piceno, l’accesso è dalla Salaria, provenendo da Ascoli e appena superato il centro abitato di Aquasanta si devia sulla sinistra in direzione Matera prendendo una piccola strada laterale; dopo pochi metri si devia ancora sulla sinistra per una strada polverosa e la si percorre per un paio di chilometri fino ad incontrare spazi per parcheggiare e l’evidente imbocco del sentiero che a dire il vero come indicazione ha il borgo di Vallecchia, una manciata di case ormai abbondonate. Ci facciamo accompagnare da Tonino per cui davvero spengo il cervello e mi godo solo la bellezza suggestiva dell’ambiente. Dal parcheggio parte una traccia marcata nella boscaglia, sul ciglio del fosso che ancora si fa fatica ad intuire; poche centinaia di metri e si attraversa un ponticello da dove si percepiscono le prime avvisaglie della profonda forra. Superato il ponticello si continua per un breve tratto su marcata traccia fino ad avere la via obbligata per entrare nel greto del fosso, un canapone aiuta a superare il salto di qualche metro. Il greto del fosso, un accumulo di grossi ciottoli e pietre levigate dallo scorrere della corrente è completamente asciutto, in periodi siccitosi o di scarsità di acqua la stessa si inabissa diverse centinaia di metri più a monte e a nulla sono servite le tante opere di contenimento sulle grotte e fessure laterali che sono state murate artificialmente; lo scenario comunque è affascinante, lentamente le pareti che contengono il fosso si stringono, si spogliano e si alzano verticali, le stratificazioni di arenaria si fanno molto evidenti, ovviamente levigate e bordate da muschio secco. Lentamente il fosso diventa forra, in qualche tratto le corde ai lati fanno intuire i passaggi obbligati quando c’è più acqua. Più a monte inizia a comparire l’acqua, e i passaggi si fanno più complicati, sospesi in piccole cenge che passano alti rispetto al letto sempre più incassato e sempre più profondo, attraversamenti aiutati da cavi di acciaio o da corde stese nelle parti più esposte del percorso, una scala aiuta a superare un salto, si guada e si ripassa sul versante opposto svariate volte, per la bellezza del posto e l’articolazione del percorso la tensione rimane alta e l’entusiasmo alle stelle … ciò che però balza subito evidente con tutte queste corde, con le stratificazioni di arenaria scoscese e levigate, con la scala per superare un salto che poggia sul greto del fosso, con la linea del percorso ora a destra e ora a sinistra è che non si riesce ad immaginare questa escursione con la presenza di acqua. L’ambiente è sempre molto suggestivo, la luce in alcuni tratti filtra appena, la macchina fotografica non ce la fa e siamo costretti a spingere gli ISO a valori impossibili. Tonino, che conosce ogni spigolo della Laga, ci fa visitare una grotta, facile l’accesso, entriamo per svariate decine di metri, dopo uno stretto corridoio arriviamo in una sala più grande, è buio pesto, abbiamo le frontali, l’ambiente è stato nel tempo “addomesticato” e nonostante questo il fascino è davvero notevole, la grotta ci dice che più avanti continua a girare, si stringe, scivolando attraverso alcuni pertugi si superano svariate strettoie fino a sbucare di nuovo sul fosso un po’ più in basso; naturalmente ci fermiamo lì, il freddo e il buio per oggi potevano bastare. Usciti riprendiamo verso monte in ambienti sempre più stretti e più belli e scenografici, con la presenza di acqua, anche se poca, ovviamente si fanno irresistibili; nei tratti più incassati e profondi la trasparenza dell’acqua regala cromaticità complicate, scure quando la luce non riesce ad entrare, le stratificazioni dell’arenaria che continuano a scendere in questa trasparenza restituiscono un alone di mistero e di finto abisso; dove i raggi del sole riescono invece ad entrare i colori diventano intensi, blu e verdi, e lasciano intuire quelle profondità consistenti altrimenti impossibili da valutare, non sarebbe impossibile un tuffo in qualche tratto anche se la vicinanza delle pareti lo renderebbe un po’ pericoloso. Circa a 3 chilometri dalla partenza termina il tratto percorribile dal semplice escursionista. Il sentiero sale sulla sinistra e si alza gradualmente dal fosso che piano piano sparisce tra la folta vegetazione e finisce per intercettare una carrareccia che termina poco più avanti confluendo in un sentierino stretto; Tonino prova a seguirlo per cercare la traccia che sale al paese di Vallecchia, un minuscolo borgo di case semi abbandonate e immerso nella vegetazione, intercettiamo i resti di un vecchio mulino, un rudere ma si legge bene ciò che resta degli antichi manufatti, la ruota in pietra per macinare, la bocca di uscita dell’acqua e il piccolo fosso che più a monte serviva per alimentarlo dell’acqua. Seguiamo ciò che resta di questo fosso, il sistema di alimentazione del mulino dal torrente principale, oggi è tutto contaminato dalla vegetazione intricata e non è immediato capire ma con un po' di immaginazione e intuito tutto torna, compreso l’ingegno dell’uomo che sapeva sfruttare la natura alla perfezione. Per un breve tratto proviamo a seguire ciò che rimane di una traccia flebile e infrattata nella vegetazione, qualche tornante, a tratti sembra rinvenire alla luce ma ben presto dobbiamo arrenderci, e Vallecchia rimane lassù, ben protetta da un muro verde invalicabile o quasi. Torniamo sui nostri passi e devo dire anche felici di ripercorrere indietro la forra del Garrafo. Non è meno l’entusiasmo, la gola è fantastica le arenarie di più, i passaggi facili ma intriganti, i colori dell’acqua ancora più accesi dal momento che il sole si era alzato nel cielo. Rimane il dubbio di come sia questo percorso in periodi di piena o quanto meno in presenza di acqua, ma è una domanda a cui sarà facile dare risposta, trenta minuti da casa non rappresentano davvero un ostacolo e ogni tanto farci una visitina non sarà un sacrificio. Se ce ne sarà troppa ci fermeremo, se sarà accessibile sarà divertente vedere fino a dove, insomma l’abbiamo appena conosciuta questa gola, appuntamento alla prossima per saperne di più.